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Al Pisa Book Festival Marco Santagata racconta Dante e la Letteratura

8 Novembre 2015 Archivio

Stamani, in sala Fermi di Palazzo dei Congressi, incontro a cura degli alunni del Liceo Buonarroti con Marco Santagata, che ha presentato al pubblico del salone per l’editoria indipendente il suo romanzo Come donna innamorata.

santagataPisa, 7 novembre 2015 – Professore dell’Università di Pisa, critico letterario e saggista, tra i massimi dantisti e petrarchisti, curatore delle opere di Dante Alighieri e di Francesco Petrarca per i Meridiani Mondadori, Marco Santagata è anche una voce importante della letteratura italiana contemporanea, vincitore del Premio Campiello nel 2003 con Il Maestro dei santi pallidi, Premio Stresa di Narrativa nel 2006 con L’amore in sé e finalista del Premio Strega nel 2015 con il suo ultimo romanzo Come donna innamorata.

Proprio per parlare di questo suo libro, Marco Santagata è stato presentato al pubblico del Pisa Book Festival oggi alle 12:00 in sala Fermi di Palazzo dei Congressi (sede ormai collaudata della manifestazione), un incontro curato dai ragazzi di una classe seconda del liceo scientifico statale Filippo Buonarroti.

come donna innamorataIl titolo è un verso di Dante: non ha pensato a un titolo tutto suo per questo romanzo?

È il primo verso del XXIX canto del Purgatorio, e la donna cui Dante fa riferimento è Matelda, abitante del Paradiso Terrestre, che condurrà il poeta al cospetto di Beatrice. In questo passo Dante cita un verso di Guido Cavalcanti, e a me serviva un titolo per collegare i due personaggi. Mi è venuto quasi subito, e non ne ho più pensato un altro. Stranamente, poi, la casa editrice – ho pubblicato il romanzo con Guanda di Parma – me l’ha subito accettato (di solito c’è una vera e propria lotta sul titolo tra casa editrice e scrittore: quasi sempre vince la casa editrice), poiché le parole “amore” o “innamorata” acchiappano di più; poi, che il verso non parlasse né di Dante né di Beatrice era secondario per l’editore. A tal proposito, vorrei ribadire che la storia d’amore tra Dante e Beatrice non c’è mai stata. I testi beatriciani sono pochi, nella Vita Nuova ci sono molti più testi dedicati alla cosiddetta “donna pietosa”. Tuttavia, i pochi versi dedicati a Beatrice sono quelli della svolta! Nel mio romanzo Dante emerge come un uomo inesperto dal punto di vista amoroso, e la sua unica relazione d’amore è con la moglie (ma questo, inutile dire che me lo sono inventato!)

Un romanzo sulla vita di Dante non rischia di avvicinarsi più alla scrittura saggistica che a quella letteraria?

Il mio è un romanzo, mi sono inventato un sacco di cose, ma alla fine penso che la versione romanzata di Dante ne esca coerente con la figura storica. Per la ricostruzione mi sono basato sulla mia biografia Dante, il romanzo della sua vita, frutto di anni e anni passati a studiare il Sommo Poeta. Anzi, vuol sapere da cosa nasce questo romanzo? Mi era stata appunto proposta una biografia su Dante, ma io avevo in mente piuttosto un’autobiografia in cui fosse Dante stesso a parlare di sé. La cosa però non ha convinto l’editore, perché non voleva un libro di nicchia. Mi è quindi rimasta quest’idea di un Dante che si racconta, e da qui è nato il mio romanzo. È un dato di fatto che quando scriveva gli ultimi canti del Purgatorio – siamo nell’autunno del 1314 – la memoria della poesia di Cavalcanti gli era molto presente. Ed essendo il mio un romanzo, ci ho costruito sopra il rimorso di Dante che, come priore di Firenze, il 24 giugno 1300 fu costretto a mandare in esilio l’amico e maestro Guido, che sarebbe poi morto per la malaria contratta proprio durante l’esilio. Quindi è sicuro che per Dante fosse un tarlo, e nel libro lo faccio in qualche modo riconciliare con l’amico, almeno nella sua memoria.

Durante la scrittura, si è immedesimato nel suo Dante? E cosa provava mentre scriveva?

Nel personaggio Dante mi sono ovviamente immedesimato. Cosa provava Dante scrivendo? Un’immensa felicità, credo, quando i versi sgorgavano dalla sua vena poetica e fluivano direttamente sulla carta. Cosa provavo io? Più o meno la stessa cosa. La scrittura creativa poggia sull’ignoto, sul vuoto assoluto, al contrario della scrittura saggistica. Quando scrivi un romanzo, entri dentro un tunnel che non sai dove andrà a finire, se andrà a finire. Hai un’idea, ma non sai se la porterai fino in fondo. E poi, una volta che scrivi un romanzo – o almeno per me è così – ti assorbe totalmente, e non te ne stacchi più, non interrompi mai, ci pensi anche quando vai a mangiare, o quando stai per addormentarti. Gran parte della scrittura è mentale, e non si svolge davanti al computer, ma quando passeggi o giri in macchina. Questo ti occupa totalmente. Io cerco di posticipare sempre l’inizio di un racconto o di un romanzo, proprio per la paura di entrare in quel tunnel, e non poter sapere se ne uscirò. Tuttavia, quando finisci un libro, esci da qual tunnel, ti senti liberato. Sì: diventi un uomo libero.

12231132 1651323908479743 514752795 nDa addetto ai lavori, cosa pensa della critica letteraria?

Mi sono formato in un’epoca in cui si credeva che contasse solo il testo, mentre la biografia dell’autore, o comunque tutti gli aspetti esterni, erano considerati ininfluenti per la comprensione dell’opera. Tale visione ha comportato, a mio avviso, un diluvio di studi che non ha prodotto niente. Dietro c’era l’idea che ci fosse uno statuto scientifico per gli studi letterari. Io mi rifiuto di crederlo, tant’è che mi rifiuto di parlare di “ricerca” per il nostro lavoro, ma piuttosto lo definisco “studio”, che è un altro discorso. Ritengo che un grande critico letterario sia quello in grado di portare agli altri le sue convinzioni: chi non sa scrivere, chi ha solo tecnica ma non orecchio, non può fare questo mestiere. Perché anche la saggistica è letteratura; di altro tipo, ma è letteratura! Il prevalere della tecnica, che molto spesso si associa a una mancanza di creatività e inventiva, fa sì che in Italia manchi la divulgazione. E se non siamo più mediatori tra testo a pubblico, serviamo a ben poco. Di questo la società se n’è accorta, e ci ha relegato alle gabbie e allo zoo dell’ambiente universitario.

E come affronta il rapporto tra letteratura e critica letteraria, che convivono in lei?

Personalmente sento i limiti del mio lavoro di critico e di storico. Con gli strumenti della critica non riesco ad arrivare dove voglio, ed è forse per questo che mi sono dato a un altro tipo di scrittura: non m’interessa tanto il rapporto tra biografia e opera, quanto piuttosto quella zona in cui la biografia non è più biografia e l’opera non c’è ancora, dove germinano le idee, quella che un tempo si chiamava ispirazione. Quella zona non la puoi penetrare con la scrittura saggistica, ma con quella creativa sì, e forse in questo modo puoi dire anche qualcosa di sensato sull’opera.

Una delle cose che più colpisce il lettore è l’epilessia di Dante: è una sua invenzione o una ricostruzione storica?

In un libro che ho scritto un po’ di anni fa, L’io e il mondo, avevo già tirato fuori questa cosa dell’epilessia di Dante, aspetto che ho ricostruito sulla base dei testi di Dante stesso, il quale addirittura descrive un attacco epilettico che si manifesta nella sua prima infanzia. E dimostra di averne anche cognizione medica, descrivendola chiaramente in alcuni passi. Era vista come una malattia infamante e socialmente pericolosa all’epoca, perché si pensava fosse trasmissibile. In diverse canzoni Dante parla dell’epilessia, presentata come un segno di predestinazione: solo lui ha avuto questa condanna come un dono, segno della divinità che lui è diverso, predestinato, prescelto. L’idea della predestinazione è costante in Dante, e la malattia è solo uno dei segnali che gliene danno conferma…

pubblicoIn conclusione: cosa ne pensa di questo progetto che vede qui al Pisa Book Festival ragazzi delle scuole medie e superiori presentare grandi scrittori come lei?

Lo trovo divertente. È interessante che ragazzi della loro età – o almeno una buona parte – abbiano letto il mio libro (anche se qualcuno sarà stato probabilmente “costretto” dai suoi professori). E si capisce che l’hanno letto dalle loro domande, alcune delle quali davvero molto interessanti e puntuali. È un’iniziativa buona, perché serve in generale a chiunque, e in particolare a loro, il doppio livello della lettura e poi del confronto diretto con l’autore, capace di innescare un cortocircuito molto positivo.

Francesco Feola

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