La scoperta è destinata a occupare un ruolo fondamentale nella storia dell’evoluzione.
Damiano Marchi, antropologo del dipartimento di Biologia dell’Università di Pisa, unico italiano nell’equipe internazionale composta da cinquanta ricercatori, guidata dal professor Lee Berger, è stato chiamato nel progetto sull’Homo Nadeli il nuovo ominide, con l’obiettivo di determinare le sue peculiarità locomotorie in particolare dell’arto inferiore dell’ominine, i cui resti sono stati ritrovati in Sudafrica e la cui scoperta è stata annunciata nelle scorse ore dall’Università del Witwatersrand, dalla National Geographic Society e dalla National Research Foundation del Sudafrica. Si chiama Homo Naledi, uomo delle stelle, ed è la nuova specie di ominide ritrovata nelle caverne del Sudafrica denominate Rising Star (stella che sorge). Una scoperta senza precedenti, che aggiunge un tassello fondamentale alla ricerca mondiale sui nostri antenati, “Caratteristiche tra uomo moderno e scimmie: si arrampicava sugli alberi, ma era in grado di correre lunghe distanze” dice il ricercatore Damiano Marchi -“alto un metro e mezzo per circa 45 chili, l'”uomo delle stelle” è tra i nostri antenati più antichi. Ci chiediamo questo cosa cambia dal punto di vista scientifico? ” che fin qui che quando l’uomo ha cominciato a camminare su due piedi ha smesso di arrampicarsi invece nei reperti che abbiamo a disposizione scopriamo che le due funzioni motorie coesistevano”. risponde il ricercatore Marchi , domandiamo ” Da cosa lo deducete?” “Dal fatto che aveva le falangi delle mani ricurve. Finora tutti i ritrovamenti si basavano su reperti frammentari, quindi non eravamo in grado di descrivere adeguatamente le caratteristiche del corpo degli ominini, per capire come si muovevano, se erano in grado di usare le mani come noi, se si arrampicavano. Stavolta abbiamo studiato più di 1500 reperti, che corrispondono ad almeno 15 individui, una cosa unica per la paleoantropologia” spiega Marchi. L’Homo Naledi potrebbe essere l’anello mancante nell’evoluzione tra Lucy e l’Australopiteco. Non è però l’unica teoria, infatti potrebbe esser un ominide che è vissuto contemporaneamente ad altri per poi estinguersi. Questo significherebbe che l’evoluzione umana non avrebbe seguito una linea retta. «La ricchezza dei frammenti ci ha permesso di ricostruire scheletri interi riuscendo non solo a definire in dettaglio il loro identikit ma anche gli stili di vita», racconta il Professor Damiano Marchi- ” Il piccolo naledi era un bipede in grado di correre ma anche di arrampicarsi sugli alberi come certificano le dita arcuate. Lo studio della mandibola e dei piccoli denti suggeriscono che si cibasse anche di carne.”
MP 21 sett.